Commenti

Le attività produttive alla prova della c.d. Fase 2.

 

Un primo commento all’ordinanza della Regione Toscana del 18 aprile 2020 e qualche spunto di riflessione, a partire dal Protocollo condiviso del Settore Moda del 15.4.2020 

Con l’avvicinarsi del termine del lockdown, si pone con insistenza il problema di far ripartire un sistema produttivo, fortemente provato dallo stop conseguente alla pandemia di Covid19, al contempo salvaguardando la salute dei lavoratori ed impedendo che un eventuale allentamento delle restrizioni sulla mobilità dei cittadini possa comportare una ripresa esponenziale dei contagi.

Questo conflitto era già stato affrontato dal Protocollo condiviso del 14 marzo, con riferimento alle attività non sospese, attraverso la predisposizione di misure di prevenzione che, seppure valide in termini generali, dovranno, ancor più in una logica di ripresa, essere declinate nel concreto delle singole realtà produttive.L 

Non si tratta soltanto di buon senso, ma di uno specifico obbligo del datore di lavoro, laddove l’art. 2087 CC e le disposizioni di cui al D.Lgs. n.81/2008 delineano una responsabilità datoriale dai confini e contenuti quantomai mobili: non si tratta già una responsabilità oggettiva, si ripete spesso, e tuttavia è evidente che il Legislatore, nell’imporre alle imprese di predisporre tutte le misure che siano necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, a tutelare la sicurezza del prestatore di lavoro in un determinato momento storico, le abbia necessariamente messe di fronte alla necessità di operare una riflessione continua, sulle migliori pratiche nella gestione del rischio alla salute dei propri dipendenti.

Se questo era vero già prima della pandemia da Covid 19, oggi questa assunzione di responsabilità diventa ancora più intensa e complessa, laddove la conoscenza recente del virus non consente ancora neanche in ambito scientifico, e a quanto sembra finchè non potremo sviluppare un’immunità di gregge attraverso un vaccino, di individuare soluzioni che si possano ragionevolmente ritenere definitive.

In questo quadro si inserisce l’ordinanza n. 38 del 18 aprile 2020 della Regione Toscana, che si propone di adottare specifiche misure atte a garantire la salute e sicurezza in tutti gli ambienti di lavoro non sanitari, con effetti eventualmente anche più restrittivi di quelli previsti a livello nazionale (e ciò in base al D.L. n. 19/2020 che, nel tentativo di offrire un paracadute costituzionale ai vari DPCM succedutisi in breve tempo, ha anche concesso alle Regioni dei margini di autonomia nell’intervento, in ragione di sopravvenute situazioni di aggravamento del rischio sanitario).

L’ordinanza in commento prevede, oltre alla possibilità per i lavoratori di sottoporsi, ma soltanto su base volontaria, allo screening sierologico, una serie di disposizioni relative all’organizzazione delle procedure e degli spazi di lavoro, tra cui:

  • Il distanziamento, che la Regione Toscana individua in 1,8 metri, ovvero una misura quasi doppia rispetto a quella cui siamo stati fino ad oggi abituati a ragionare;
  • La detersione delle mani prima dell’accesso al posto di lavoro;  – l’utilizzo di guanti, ove compatibile con l’attività svolta, e di mascherine (in particolare delle mascherine FFP2, quando non sia possibile garantire il distanziamento prescritto);
  • La misurazione quotidiana della temperatura corporea all’inizio del turno di lavoro da parte del datore di lavoro;
  • La sanificazione degli ambienti almeno quotidiana e, comunque, in funzione del turni di lavoro;
  • L’adeguata informazione dei dipendenti, anche attraverso la consegna e affissione di appositi depliant (per completezza, occorre far presente che nell’ordinanza sono inoltre previste ulteriori disposizioni specifiche per gli esercizi commerciali, volte in particolare a regolamentare e controllare l’accesso da parte della clientela, di cui però per il momento non ci occuperemo).

Infine, l’ordinanza prevede l’obbligatoria adozione da parte di ogni impresa, quale condizione per lo svolgimento dell’attività, di uno specifico “protocollo di sicurezza anticontagio”, con il quale il datore di lavoro si impegna all’attuazione delle misure sopra descritte, utilizzando una scheda tipo, da inviare alla Regione entro 30 giorni dalla riapertura.

A ben vedere, l’ordinanza suscita qualche perplessità quanto alla possibilità di un controllo in tempo reale dell’adozione delle misure anticontagio (e, quindi, sulla reale efficacia in punto di prevenzione), laddove, ad esempio, si consente al lavoratore di autocertificare se si trovi o meno in stato febbrile, in luogo della misurazione della temperatura; si dà la possibilità per il datore di lavoro di autodichiarare le attività di sanificazione svolte; si rende possibile la riapertura dell’attività, anche 30 giorni prima dell’invio alla Regione da parte del datore di lavoro del medesimo protocollo anticontagio. 

E’ bene tuttavia ricordare, per quanto qui ci interessa, che un sistema di controlli successivi è una forma di semplificazione, che velocizza le procedure, ma comporta in ogni caso una maggiore responsabilizzazione in capo al datore di lavoro.

Questo punto dovrà essere ben chiaro alle imprese che, purtroppo, giocano sui tempi della riapertura anche la loro stessa sopravvivenza sul mercato. 

In realtà, ciò che viene oggi chiesto alle aziende è ben più di quanto si legge nell’ordinanza regionale.

La verità è che va compiuto uno sforzo ulteriore, per proiettarsi davvero verso una nuova fase: è illusorio pensare che da ora in avanti l’imprenditore, per ritenere soddisfatti i suoi obblighi di protezione, possa limitarsi ad adottare in modo acritico protocolli precompilati e linee guida standardizzate e distribuirli, sic et simpliciter, ai lavoratori. 

Il passaggio alla fase 2 ci impone un cambio di mentalità ed una nuova capacità di reazione, che tenga conto sì degli imprevisti e delle deroghe dettate dall’emergenza, ma anche dalle regole basilari in tema di tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, sul cui rispetto il datore di lavoro potrà in futuro essere chiamato a rispondere. 

I pilastri della normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – prevenzione, formazione e controllo – richiedono che il datore di lavoro predisponga a monte idonee misure di prevenzione, ritagliate sullo specifico contesto lavorativo, accompagnandole con una adeguata formazione ed informazione ai propri dipendenti, per renderli attivamente partecipi e responsabili del sistema di sicurezza adottato. Infine, è necessario che predisponga un efficace meccanismo di controllo sull’adozione quotidiana delle misure prescelte, per evitare che queste restino mere affermazioni di principio. 

Certo si potrà obiettare che l’imprenditore non sia in grado di eliminare un rischio alla salute dei propri lavoratori, nella gran parte dei casi esogeno rispetto alla attività produttiva, legato ad un virus di cui ancora molto sfugge alla nostra conoscenza. 

Ma se sarà inevitabile ancora a lungo procedere “per congetture e confutazioni”, ciò non lo esime – non ci esime – dal compiere oggi delle scelte, nella consapevolezza che, sul piano giuridico, ogni dubbio in tema di salute debba essere sempre illuminato dal principio generale di precauzione.

Ed ecco che, in un contesto incerto, forse la migliore soluzione allo stato possibile, per quanto sempre in una prospettiva evolutiva, sia quella della condivisione di un piano d’azione tra i vari attori coinvolti nel sistema produttivo: istituzioni, imprese, lavoratori, comunità scientifica.

Per questo acquisiscono un valore aggiunto, innanzi tutto metodologico, i “protocolli condivisi” tra datori di lavoro e sindacati dei lavoratori, a partire da quello generale del 14 marzo 2020, per arrivare più di recente a quello siglato il 15 aprile 2020 tra Confindustria Moda e Filctem CGIL, Femca CISL e Uiltec UIL .

Tra le varie misure, con questo protocollo le Parti Sociali si sono preoccupate di istituire un Comitato Paritetico Nazionale Covid-19 del settore Moda che, fino al 30 settembre 2020, avrà il compito di “curarne l’implementazione in ogni azienda, anche in collegamento con le rispettive organizzazioni di rappresentanza territoriale … Verificare l’applicazione e l’efficacia delle misure indicate nel Protocollo … Raccogliere e diffondere le migliori pratiche … Aggiornare il Protocollo stesso in relazione all’andamento della situazione dell’emergenza sanitaria ed alle nuove conoscenze e strumentazioni che saranno rese disponibili dalla ricerca medica e dalle Istituzioni preposte all’emergenza sanitaria”.

Una sorta di cabina di regia in cui tutti gli attori del sistema produttivo, condividendo obiettivi e responsabilità (e sempre alla luce dell’interpretazione dinamica dell’art. 2087 CC, come sopra ricordato) possono contribuire alla ricerca di soluzioni efficaci ed innovative: e chissà che questa esperienza possa rivelarsi utile, non solo nell’attuale fase di emergenza sanitaria, ma anche di fronte alle sfide globali future. 

 

Avv. Gaia Fratini

 

#iostoacasa

 

 

Continua a leggere