La registrazione di una conversazione tra presenti, a loro insaputa, è del tutto lecita.
Così come è lecita la registrazione di una telefonata con un’altra persona ignara di essere intercettata. La giurisprudenza ha più volte chiarito che chi parla in presenza di altre persone accetta anche il rischio di essere registrato. L’atto della registrazione differisce però dall’utilizzo del file con la conversazione. Se quest’ultimo viene divulgato a terzi e pubblicato sui social network, si commette una violazione dell’altrui privacy, soprattutto se l’oggetto della conversazione riguarda un contenuto riservato: per esempio parlando di salute, orientamento sessuale o schieramento politico. Un caso aggravato è se lo scopo della diffusione dell’audio è la diffamazione di chi parla. In tutti questi casi si rischia un’incriminazione penale.
Ma cosa succede se si agisce per difendere un proprio diritto? In questo caso il reato non c’è. Questo perché spesso esistono situazioni che, in assenza di testimoni, hanno bisogno di altri meccanismi probatori. Ecco una serie di casi in cui non si commette reato: se un dipendente registra una conversazione con i datori di lavoro perché intende agire contro di loro per mobbing; se una vittima registra un tentativo di estorsione; se chiunque con un registratore cerca di captare dichiarazioni che potrebbero servirgli in un eventuale processo. In questi casi i soggetti si stanno precostituendo delle prove che potranno essere fatte valere in un’aula giudiziaria.
Un’importante precisazione: rimane vietato lasciare un registratore acceso senza essere presenti, anche in casa propria, per spiare quello che un’altra persona dice o fa in assenza del registrante. Tale condotta può comportare una condanna penale per interferenze illecite nella vita privata, un reato previsto dall’articolo 615 bis del codice penale che comporta una pena che va da 6 mesi a 4 anni di reclusione.