La prolungata malattia del lavoratore può essere motivo di recesso per il datore di lavoro?
Si, ma solo dopo che è decorso un certo lasso di tempo previsto dalla legge e dai contratti collettivi. Si parla comunemente di “periodo di comporto”, durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro. Come si calcola questo periodo? Non c’è un modo univoco perché ogni contratto collettivo prevede una propria disciplina. Il comporto può riguardare un solo evento morboso oppure una sommatoria di malattie e spesso è anche previsto che il diritto a preservare il proprio posto di lavoro sia maggiore con l’aumentare dell’anzianità di servizio. Quindi, per verificare se si è superato il periodo di comporto, è sempre bene controllare il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro.
Durante l’emergenza sanitaria molti lavoratori sono stati destinatari anche di provvedimenti di quarantena, trovandosi costretti a stare a casa anche se sani. In questo caso la legge ha chiarito che, anche se la quarantena è comparata alla malattia, non si debba conteggiare nel comporto.
Cosa succede invece se il dipendente si è ammalato di Covid-19 e in ragione di questa assenza ha superato il periodo di comporto? A differenza della quarantena, in questo caso la malattia non è esclusa a priori dal comporto ma se il lavoratore si è ammalato in occasione di lavoro non saremo di fronte a una malattia ma bensì a un infortunio sul lavoro che i contratti collettivi spesso escludono dal periodo di comporto.
E cosa succede se invece il lavoratore ha contratto il Covid-19 per colpa del datore di lavoro, che non ha adottato tutte le misure di sicurezza necessarie e idonee a prevenirne il contagio?
Questa assenza non potrà mai essere conteggiata, ovvero non si potrà licenziare per superamento del comporto se è lo stesso datore di lavoro il responsabile della malattia del lavoratore.